Domani è il grande giorno. Fra le 8 e le 18 quasi 61 milioni di tedeschi si recheranno alle urne per eleggere il nuovo Bundestag, e dalle 18 e un minuto - quando inizieranno ad essere diffusi gli exit-poll e a circolare le prime proiezioni - avremo qualche elemento in più per capire chi fra i candidati Cancellieri avrà più chance di succedere ad Angela Merkel, e quale coalizione di governo sarà la più probabile.
Ormai la campagna elettorale è conclusa, si è tenuto anche l’ultimo dibattito televisivo (lo Schlussrunde) e non resta che aspettare il responso delle urne. Ecco dunque un riassunto complessivo, partito per partito, in rigoroso ordine discendente nei risultati dei sondaggi più recenti.
SPD
Stavolta ai socialdemocratici sembra sia riuscito di azzeccare praticamente tutto: il candidato, la strategia, la tempistica.
Che Olaf Scholz fosse un candidato forte si sapeva fin dal momento della sua selezione, oltre un anno fa. L’apprezzamento dei tedeschi nei confronti del Ministro delle Finanze è sempre stato molto alto, soprattutto durante la fase più critica della pandemia quando è stato varato un massiccio piano di sostegno economico alle attività danneggiate dal lockdown.
Nessuno però immaginava avesse un’opportunità concreta di prendersi la Cancelleria. La SPD andava troppo male nei sondaggi, inchiodata intorno al 15% e destinata a un inevitabile terzo posto.
Invece è successo quello che nessuno si aspettava. La resurrezione di Scholz e del suo partito è forse dovuta in gran parte agli errori degli avversari, ma va detto che i socialdemocratici e il loro candidato hanno fatto una buona campagna elettorale, incentrata su alcuni temi caratterizzanti - come le pensioni, o l’aumento del salario minimo - e molto attenta a non creare polarizzazioni o controversie. In questo Scholz è stato decisamente un valore aggiunto: durante tutta la campagna si è sempre mostrato estremamente calmo e misurato, dando ai tedeschi l’impressione di essere il miglior candidato possibile per raccogliere l’eredità di centrismo moderato di Angela Merkel.
E poi la tempistica ha aiutato. Nel 2017 l’entusiasmo per Martin Schulz aveva raggiunto il picco troppo presto, sgonfiandosi rapidamente già all’inizio dell’estate. Stavolta invece la risalita socialdemocratica è iniziata intorno a metà luglio, quando Armin Laschet ha iniziato davvero a sbagliare tutto lo sbagliabile (ci torniamo su fra poco).
Alla fine l’unico punto critico su cui hanno insistito gli avversari, cioè soprattutto l’Union e la FDP, è il pericolo dell’ondata rossa, con l’ingresso della Linke al governo, ma si tratta di uno scenario poco probabile. Da un lato il partito di sinistra è ancora preda di forti dissidi interni, che lo renderebbero un partner difficile da maneggiare e in fondo poco propenso a impegnarsi; dall’altro Scholz ha sempre posto condizioni molto nette, soprattutto sulla politica estera, evitando pregiudiziali di principio ma rimanendo sempre nel campo dei contenuti e delle proposte. (Pregiudiziali di principio che rimangono da parte di tutti i partiti per AfD, ma ovviamente è un altro discorso - a meno che non vi chiamiate Armin Laschet.) Dunque il pericolo delle rote Socken, le “calze rosse” che i conservatori hanno agitato come uno spauracchio riprendendo un loro slogan del passato, non è stato realmente sentito come tale dall’elettorato tedesco.
Chance per la Cancelleria: abbastanza, ma nessuna certezza
Negli ultimi sondaggi: fra il 25% e il 27%, diversi punti in più rispetto al disastroso 20,7% del 2017
Union
Se davvero l’Union finirà appena sopra il 20% e se davvero si ritroverà all’opposizione, Armin Laschet diventerà un po’ come Voldemort nella saga di Harry Potter, Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. Dubbi sulla sua nomina a candidato Cancelliere ce ne sono stati tanti e fin da subito, con tantissimi fuori e dentro il partito che avrebbero preferito Markus Söder, ma un crollo di questo genere era oggettivamente impronosticabile. Anche il momento più allarmante sembrava superato. Non dimentichiamoci che l’ufficializzazione di Laschet è arrivata il 19 aprile, poche ore dopo quella di Baerbock per i Grünen: la sua candidatura è dunque partita con un contraccolpo doppio. Da un lato il grande entusiasmo per la leader verde, dall’altra la grande delusione per l’esclusione di Söder. Sono di questo periodo i primi sondaggi preoccupanti, che danno l’Union dietro ai Verdi e suscitano in molti conservatori la tentazione di schiacciare il pulsante panic mode.
Fortunatamente ai primi di giugno arrivano le elezioni in Sassonia-Anhalt. Reiner Haseloff, Ministerpräsident CDU, stravince con uno strabiliante 37,1%, e i conservatori possono rifiatare un po’. Anche i sondaggi riflettono questa inversione del trend, e l’Union torna prima: l’ordine naturale della politica tedesca pare ristabilito, e la strada di Laschet verso la Cancelleria sembra, se non spianata, quantomeno agevole.
A metà luglio però la Renania viene travolta dalle alluvioni. Laschet, in qualità di Ministerpräsident di uno dei Länder più colpiti, si reca sul posto: le sue foto in Gummistiefel, gli stivaloni di gomma, finiscono su tutti i giornali. Su quei giornali però, il 17 luglio, ci finisce anche un’altra cosa: la sua risata a favore di telecamere mentre il Presidente della Repubblica Federale, Frank-Walter Steinmeier, sta rivolgendo un commosso pensiero alle vittime della catastrofe.
Secondo gli strateghi della CDU, è quello il momento in cui le quotazioni di Laschet iniziano a crollare, trascinando giù anche il partito.
Certo quella risata resterà nelle cronache di questa campagna elettorale come un momento cruciale, ma se davvero la CDU verrà sconfitta in queste elezioni le motivazioni sono anche altrove. Abbiamo detto della debolezza di Laschet, ma tutta la campagna dell’Union è stata poco incisiva. Innanzitutto è stata ambigua sulla direzione da prendere: Laschet è il candidato migliore per incarnare il weiter so (“avanti così”) merkeliano, e spesso ha sottolineato come lui e il suo partito siano gli alfieri della “stabilità”, ma al tempo stesso in numerose occasioni ha rimarcato il bisogno di discontinuità, e ha dato grande visibilità come potenziale superministro a Friedrich Merz, il suo avversario al congresso che della Cancelliera è uno dei più fieri avversari. Una mossa dettata probabilmente dalla priorità di pacificare il partito ed evitare regolamenti di conti; ma se alla fine il risultato sarà una clamorosa batosta, davvero crediamo che non usciranno fuori i coltelli?
In secondo luogo è stato quasi impossibile individuare un tema caratterizzante per questa campagna elettorale. Laschet a volte ha parlato di stabilità, altre di alleggerimento della pressione fiscale, altre ancora di sicurezza, ma senza la costanza né la convinzione necessarie per farne dei punti fondamentali della sua proposta. Scholz è praticamente sinonimo di pensioni stabili e aumento del salario minimo, Baerbock di lotta al cambiamento climatico e sostegno all’infanzia: di cosa sia sinonimo Laschet, nessuno può dirlo con certezza.
Sommate a tutto questo molte dichiarazioni discutibili e commenti poco felici, e avrete le dimensioni del problema. L’ultimo passo falso risale proprio a questi giorni. Commentando la tragica vicenda del giovane impiegato di una stazione di servizio ucciso per aver chiesto a un cliente di indossare la mascherina, Laschet ha detto che questi episodi di violenza sono da condannare fermamente, e ha chiesto che tutti quanti abbandonino ogni forma di aggressività. Naturalmente gli è stato fatto subito notare che stavolta la direzione da cui proviene l’aggressività è ben precisa, come invece hanno sottolineato nei loro commenti numerosi altri esponenti politici.
Chance per la Cancelleria: qualcuna meno di Scholz, ma chissà
Negli ultimi sondaggi: fra il 21% e il 25%, rispetto al già non entusiasmante 32,9% del 2017 siamo dalle parti della disfatta di proporzioni storiche
Grünen
C’è stato un momento in cui i Grünen hanno visto a portata di mano un traguardo straordinario e impensabile, quello di diventare primo partito e prendersi la Cancelleria. Oggi, alla vigilia del voto, quel sogno sembra definitivamente tramontato. Probabilmente i Verdi raddoppieranno i voti rispetto alle scorse politiche, ma ritrovarsi terzi con distacco dopo essersi immaginati trionfatori non è una prospettiva semplice con cui fare i conti.
Le responsabilità sono da attribuire un po’ a tutti. Baerbock si è rivelata una candidata meno efficace del previsto, anche se lo scrutinio a cui è stata sottoposta e le critiche che ha ricevuto hanno risentito molto di un certo doppio standard sessista ancora presente nella politica tedesca.
Anche il partito è parso inaspettatamente impreparato a una campagna di cui si sapeva sarebbe stato protagonista. Soprattutto a livello tattico, i Verdi hanno passato molto tempo a giocare sulla difensiva, lasciando che fossero gli altri a dettare le coordinate del discorso su di loro. Un errore che molti analisti politici hanno evidenziato.
Certamente i Grünen verranno coinvolti nelle trattative per la formazione del governo, e quasi sicuramente nel governo stesso. Resta da vedere però che conseguenze interne avrà questo risveglio al terzo posto. Finora il partito si è sempre mostrato estremamente coeso e compatto dietro la sua candidata, ma è inevitabile che a un certo punto alcune domande inizieranno a circolare. Ad esempio quella che le hanno rivolto due bambini durante un episodio dello show Late Night Berlin, la trasmissione a cui nelle settimane scorse avevano partecipato anche Laschet e Scholz: “è colpa tua se i Verdi stanno perdendo?”
Intanto un sondaggio rivela l’ordine di preferenza delle possibili coalizioni fra i sostenitori del partito. La Jamaika, l’accordo con Union e FDP, si situa all’ultimo posto: il 75% degli elettori del partito è contrario. L’Ampel, cioè il “semaforo” insieme a SPD e FDP è invece ben visto dal 54%, ma a trionfare è la coalizione rot-rot-grün, rosso-rosso-verde con SPD e Linke: ben il 70% dei militanti è favorevole.
Chance per la Cancelleria: praticamente nessuna
Negli ultimi sondaggi: fra il 14% e il 17%, un ottimo risultato se confrontato con l’8,94% del 2017 ma quando pensavi di poter sfondare il muro del 20% tornarci al di sotto è sempre una grande delusione
FDP
Christian Lindner, il capo dei liberali della FDP, ha una voglia matta di tornare al governo. E se continua a dire che le affinità maggiori ci sono con l’Union e che la sua coalizione preferita sarebbe la Jamaika, si sta comunque lasciando una porta aperta con Scholz e la SPD.
La settimana scorsa parlavamo della sua partecipazione al dibattito televisivo dei partiti minori: in quell’occasione, Lindner si è detto sorpreso dalla grande debolezza dell’Union, che carica sulle spalle della FDP “la responsabilità particolare di organizzare una politica centrista”. Parole che sembrano già alludere a uno scenario in cui i conservatori sono fuori dai giochi.
Anche le condizioni dettate per l’inizio delle trattative sembrano lasciare abbastanza spazio di manovra per flirtare in maniera discreta con Olaf Scholz. Lindner ne ha elencate due: no all’aumento delle tasse, no alla cancellazione dello Schuldenbremse, il “freno al debito” temporaneamente sospeso durante la pandemia. Per quanto riguarda le tasse, Scholz ha detto che di abbassarle non se ne parla (per quanto qualche proposta sul tema nel programma della SPD ci sia), ma che invece sarà necessario discutere di alcuni aumenti per le fasce di reddito più alte: e qui le cose potrebbero farsi complicate. Ma sul freno al debito, il candidato socialdemocratico si è detto favorevole alla sua reintroduzione a partire dal 2023: e considerato l’effetto sistemico che una misura di questo tipo può avere, questa convergenza con i liberali potrebbe avere un peso non indifferente.
Vedremo se anche le urne confermeranno il momento di salute che stanno vivendo Lindner e i suoi. Se sarà così, togliergli il ruolo di kingmaker sarà difficile. Non tutte le coalizioni possibili godono però dello stesso sostegno nella base. Una maggioranza Deutschland, con SPD e Union, è approvata dal 59% degli elettori, mentre il 53% non disdegnerebbe la Jamaika. Fanalino di coda proprio il semaforo con SPD e Grünen, visto positivamente solo dal 38%.
Negli ultimi sondaggi: fra il 10,5% e il 12%, in linea con il 10,75% del 2017 ma molto più pesante in termini effettivi, vista la frammentarietà del quadro generale
AfD
A quattro anni dal suo ingresso nel Bundestag, AfD continua a essere un partito profondamente lacerato al suo interno, scisso fra un’ala più o meno moderata che vorrebbe spostarsi su un piano politico più bürgerlich, più “borghese” e civile, e una radicale che invece spinge per una sempre maggiore radicalizzazione, e che al momento sembra più forte.
La campagna elettorale degli alternativi non ha vissuto momenti di particolare rilevanza: gli unici momenti in cui si è parlato di loro è stato quando ogni partito ha escluso qualunque forma di collaborazione, come prevedibile. Da questo punto di vista il muro di contenimento a destra sembra tenere: ora che AfD non è più una sorpresa, non è più un oggetto misterioso ma siede comodamente da diversi anni nei Parlamenti regionali e in quello federale, questa strategia sarà sufficiente?
Negli ultimi sondaggi: fra il 10% e il 12%, una flessione rispetto al 12,6% del 2017 e soprattutto addio al ruolo di terzo partito del Bundestag, e di principale partito dell’opposizione
Linke
Come AfD, anche la Linke non riesce a trovare pace nello scontro fra le sue due anime, quella di lotta e quella di governo. Sembrava ci fosse spazio per un armistizio con l’elezione delle due leader, Susanne Hennig-Wellsow (lato moderato) e Janine Wissler (lato radicale), ma le divisioni interne si sono mantenute più o meno come prima. A una parte del partito, radicata soprattutto a Est, che ha ormai una considerevole esperienza di governo e non disdegnerebbe provare il salto a livello nazionale, si contrappone quella più presente a Ovest che invece incarna un’anima movimentista e di protesta, rendendo ogni discorso in ottica di alleanza un esercizio complicato. Anche per questo motivo una coalizione rosso-rosso-verde è un’opzione poco probabile: nonostante eventuali aperture da parte di Scholz e Baerbock, non è detto che un grosso pezzo del partito sia disposto a scendere a compromessi e a contrattare con altre formazioni che sono spesso considerate alla stregua della destra. Le condizioni poste dai candidati della SPD e dei Grünen, soprattutto il riconoscimento della NATO, sono in qualche modo un test per il partito di sinistra: rappresentano il banco di prova per saggiare la compattezza del partito in caso si arrivi seriamente a trattare.
Certo però per arrivare a trattare bisogna prima disporre di un drappello di deputati consistente, e non è detto che la Linke l’avrà.
Negli ultimi sondaggi: fra il 5% e il 7%, un deciso calo rispetto al 9,24% del 2017
Cosa tenere d’occhio
Ci sono almeno altre due cose da tenere d’occhio, domani.
La prima è l’affluenza. Nel 2017 il dato fu piuttosto alto: andò a votare oltre il 76% degli aventi diritto, una decisa inversione di tendenza rispetto ai valori ben più bassi delle due elezioni precedenti. Ma questa volta ci si attende un numero molto elevato di voti per posta, visto che siamo pur sempre in una fase pandemica. In base all’affluenza e ai calcoli del voto per posta sarà possibile trarre qualche indicazione in più sull’affidabilità dei dati che man mano usciranno.
In secondo luogo, non dimentichiamoci che domani si vota anche per le regionali in due Länder: a Berlino, che deve rinnovare il suo Senat (l’organo di governo della città) e il suo sindaco, e in Meclemburgo-Pomerania Anteriore. In entrambi i casi la SPD è avanti nei sondaggi, a Berlino di qualche punto, in Meclemburgo di quasi 10. Per i socialdemocratici il sogno di una tripletta non è poi così lontano.
Ah, a Berlino si vota anche per un referendum sulle case: se volete approfondire, ne ha scritto Simone Vona su Kater.
Va bene, ma quindi come va a finire?
Abbiate pazienza, ormai ci siamo. E se vi va domani intorno alle 18 faremo una breve diretta sulla pagina Facebook di Kater per commentare i primi exit poll e le prime proiezioni.
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