RESET 2021 - Numero 42: Il mondo alla rovescia
Pensavate di aver già capito come sarebbe andata a finire, vero?
È bastato che RESET 2021 andasse in vacanza un paio di settimane, e che io in un’intervista dicessi che secondo me l’esito più probabile del voto sarebbe stata una Jamaika-Koalition a guida Laschet, perché in un attimo cambiasse tutto.
Negli ultimi quindici giorni quella che sembrava ormai una certezza, la vittoria dell’Union e di Armin Laschet, è stata rimessa totalmente in discussione. E non tanto grazie a una risalita dei Grünen, ma perché è iniziata l’irresistibile ascesa della SPD, trainata dal suo candidato Olaf Scholz. Sondaggio dopo sondaggio, i socialdemocratici hanno prima ripreso i Verdi, riguadagnando il secondo posto, e poi si sono sempre più avvicinati ai conservatori, finché martedì 24 agosto una rilevazione li ha dati avanti: SPD 23%, Union 22%.
Era la prima volta DA QUINDICI ANNI.
Molto interessante anche questo grafico, pubblicato da Deutschland Wählt, che somma alle quote di chi già si dice elettore di un partito anche quelle di chi non è sicuro ma potrebbe votarlo. Sommando i due gruppi, la SPD risulta in testa. Non solo: ottiene anche il punteggio più basso, e quindi migliore, nella categoria “assolutamente invotabile”, in cui invece come prevedibile spicca AfD.
Un Cancellierato Scholz non è più una chimera, ma un’ipotesi concreta da aggiungere al numero di esiti possibili del voto. Ora che Merkel non è più della partita, si tratta davvero delle elezioni più incerte da molti anni.
Come sappiamo, però, i sondaggi non sono previsioni del futuro, ma fotografie del presente, delle dinamiche che muovono il corpo elettorale nel momento in cui vengono fatti. Più che dare la SPD già vincente è interessante analizzare le ragioni di questo inatteso ribaltamento, e capire se si tratta di trend duraturi che possano durare fino al 26 settembre.
Un fattore importante è sicuramente Olaf Scholz. Il Ministro delle Finanze sta continuando a consolidare la sua popolarità, ed è sempre il più il candidato Cancelliere preferito dai tedeschi, con un distacco che non smette di crescere.
Dalla catastrofe delle inondazioni di metà luglio Scholz non ha sbagliato una mossa. Si è mostrato molto attivo nel sostegno alle zone più colpite, emergendo per contrasto rispetto alle figuracce di Armin Laschet e al poco spazio di manovra che l’assenza di incarichi governativi concede ad Annalena Baerbock. Ma non va sottovalutato un altro aspetto, a cui accennavo già su Kater al tempo della sua nomina un anno fa. Scholz è il profilo perfetto per intercettare voti anche al di fuori del bacino socialdemocratico: moderato e pragmatico, può piacere sia a chi di solito vota CDU che addirittura a chi orbita dalle parti della FDP. Da certi punti di vista il candidato SPD si sta rivelando un ottimo interprete del merkelismo a parti invertite. Se la Cancelliera è una conservatrice apprezzata anche dai socialdemocratici, Scholz è un socialdemocratico apprezzato anche da una buona fetta di conservatori. Per molti tedeschi, il vero candidato del weiter so (“avanti così”) è lui, non Laschet.
Ma è probabile che la ragione principale del successo della SPD e del crollo dell’Union sia proprio Armin Laschet. Al contrario di Scholz, il candidato conservatore non ne sta imbroccando una: impopolare a livelli storici, sta guidando una campagna elettorale che i più giudicano scialba e anonima, senza direzione né contenuti. Gli strateghi della CDU ritengono che la famigerata risata ripresa sui luoghi dell’alluvione mentre parlava il Presidente Steinmeier rappresenti un vero e proprio turning point, il momento in cui le cose sono iniziate a precipitare. Dalle accuse di plagio su un suo libro del 2009 a un video di questi giorni in cui lo si vede entrare in un Imbiss, una tavola calda, senza l’obbligatoria mascherina, tutto quello che per lui può andare male lo sta facendo.
E nella sua caduta Laschet sta trascinando il partito con sé, tanto che da quelle parti sono tutti nervosissimi. C’è chi vuole iniziare ad attaccare la FDP, per “richiamarla all’ordine” ed evitare pericolosi scivolamenti dei liberali verso la SPD; addirittura emergono voci di un cambio in corsa del candidato, un’ipotesi che sarebbe veramente pazzesca soprattutto ora che manca pochissimo al voto. Il prescelto sarebbe naturalmente Markus Söder, ma il governatore bavarese - che pure non risparmia critiche al partito fratello e al suo leader - per ora declina.
Sondaggi e proiezioni danno un quadro veramente drammatico per l’Union e le sue liste elettorali. Come nota Europe Elects su Twitter, moltissimi distretti elettorali potrebbero cambiare colore, passando dalla CDU ai Verdi e soprattutto alla SPD. Addirittura, e sarebbe veramente incredibile, lo stesso Laschet potrebbe non essere eletto al Bundestag attraverso la lista del suo Land, il Nordreno-Vestfalia. Va detto però che la proiezione è di una società di consulenza vicina alla SPD, quindi forse non si tratta di un calcolo del tutto unbiased.
Come detto, queste sono decisamente le elezioni più incerte da quando è apparsa Merkel sulla scena. Le coalizioni di governo possibili sono numerose, tutte più o meno realistiche, e naturalmente richiederebbero un’attenta analisi dell’agibilità politica e programmatica, oltre che del significato per i partiti coinvolti. Analisi che farei qui di seguito, se non fosse che in questi giorni è scoppiata la crisi afghana, che riguarda molto da vicino anche la Germania. Soprattutto per la prevedibile ondata migratoria innescata dalla presa del potere da parte dei talebani.
Una crisi di queste proporzioni implica un imponente flusso di profughi e rifugiati, e per la Germania questo significa riandare con la memoria al 2015, l’anno dell’apertura delle frontiere e del Wir schaffen das di Angela Merkel.
“2015” è diventato un termine cruciale della Germania contemporanea, una parola chiave che racchiude numerosi significati anche contrapposti. A seconda della prospettiva e dello schieramento politico/ideologico, vuol dire “apertura” o “invasione”, “accoglienza” o “perdita dell’identità”. Indica il momento in cui Merkel ha fatto una scelta coraggiosa ma impopolare, anche se quanto impopolare resta una questione aperta: è probabile che ad essa sia riconducibile l’ascesa di movimenti xenofobi come Pegida e di AfD, ma al tempo stesso non va dimenticato che l’opinione pubblica tedesca all’epoca era preoccupata ma non era contraria in maniera schiacciante alla scelta della Cancelliera. Circa la metà dei tedeschi era convinta, e lo è tuttora, che fosse una buona idea.
Tuttavia il 2015 rimane uno spartiacque per la Germania, e il timore che qualcosa di simile possa ripetersi si sta facendo strada in tutta Europa. Probabilmente anche per questo motivo l’Union e la FDP non hanno perso tempo a chiarire che “non possiamo permettere che il 2015 si ripeta”, per bocca di quasi tutti i loro esponenti di punta - come nota la trasmissione satirica heute show.
“Dimmi che non hai voglia di rifugiati, senza dirmi che non hai voglia di rifugiati”
Non va però dimenticato un fatto, che Angela Merkel nel 2015 aveva ben presente.
La Germania ha bisogno di gente. È un Paese che invecchia, che ha bisogno di nuovi cittadini per invertire un trend demografico calante e di nuova forza lavoro per le sue aziende e per pagare le pensioni. Nel 2015 molti industriali ed economisti appoggiarono la politica di apertura della Cancelliera sostenendo che l’afflusso di migranti avrebbe potuto dare il via a una nuova fase di crescita economica, e la loro opinione non è cambiata. La Germania avrebbe bisogno di 400.000 migranti all’anno - il doppio rispetto all’Obergrenze citato nel programma di governo, che fissa il tetto massimo a 220.000.
Il tema è estremamente delicato, e i partiti fanno molta attenzione a cosa dire. Poche voci si sono levate in favore dell’accoglienza: Janine Wissler, leader della Linke, ha ricordato la corresponsabilità tedesca ed europea nelle vicende afghane, e ha sottolineato che come Paese più ricco dell’Unione la Germania ha il dovere di accogliere una grossa quota di rifugiati - in linea con il programma del partito, che invoca confini aperti per tutti all’interno del continente europeo e un cambio di rotta nella politica della libertà di movimento globale. Altri spingono per un rafforzamento dei corridoi di ingresso legali, ad esempio la SPD e i Grünen, ma è chiaro che a un mese dal voto nessuno vuole prendere una posizione potenzialmente molto rischiosa.
La prossima volta cercheremo di ragionare un po’ più a fondo sui possibili incastri per il governo, su quali potrebbero essere le opzioni preferite di ciascun partito e tenteremo magari qualche azzardata previsione. E parleremo anche del primo triello televisivo fra i candidati, previsto per domenica sera.
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Come di consueto, un paio di cose interessanti da leggere - e da ascoltare - prima di salutarci.
Su Start Magazine Pierluigi Mennitti racconta l’incredibile rimonta di Olaf Scholz, mentre sullo Huffington Post Ubaldo Villani-Lubelli traccia una panoramica dello scenario a un mese dal voto.
Politico dedica un bel pezzo ai Freie Wähler, piccolo partito di destra che governa insieme alla CSU in Baviera ma con cui i rapporti stanno diventando sempre più tesi.
Sull’edizione internazionale dello Spiegel potete leggere una lunga intervista sulla crisi afghana a Heiko Maas, Ministro degli Esteri in quota SPD.
A Tokyo sono iniziate le Paralimpiadi: la Süddeutsche Zeitung dedica un bel profilo a una delle atlete più conosciute, Bebe Vio.
Confesso una mia perversione: gli inni dei partiti politici (e se siete come me, appena lette queste parole vi starà subito risuonando in mente “Udeur verrà, Udeur verrà, Udeuuuuur, Udeuuuuuur…”). Nel 2017 segnalai sulla newsletter #Noch4Jahre? l’inno che AfD aveva preparato per la campagna elettorale, stavolta invece sono stati i Grünen a realizzare una canzone per convincere gli elettori tedeschi. Il pezzo si chiama Ein schöner Land (“Un bel Paese”), e vi avverto: offre nuovi e inattesi significati al concetto di cringe.
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