RESET 2021 - Numero 52: Nuovi leader
Molti partiti tedeschi cambieranno i loro vertici, per ripartire dopo la sconfitta o perché i leader attuali diventeranno ministri. Intanto però i contagi riprendono a una velocità allarmante.
Il voto di settembre non ha sancito solo un cambio alla Cancelleria, che passerà dalla CDU alla SPD. Come dicevamo già sabato scorso, gli effetti delle elezioni riguardano anche la vita interna dei partiti e le loro leadership, che in molti casi subiranno significativi cambiamenti. E se il processo sembra scontato per gli sconfitti, in realtà riguarda anche i vincitori. Spesso infatti gli statuti dei partiti escludono che chi occupa un Ministero possa anche svolgere il ruolo di Vorsitzende: gli incarichi multipli ai tedeschi proprio non piacciono.
In particolare sono quattro i partiti che dovranno rinnovare la propria guida: due usciti sconfitti dalle urne, e cioè la CDU e la Linke, e due che invece finiranno al governo, la SPD e i Grünen.
Cominciamo dai vincitori.
SPD
La scorsa settimana Norbert Walter-Borjans ha fatto sapere che non si sarebbe ricandidato alla guida dei socialdemocratici al congresso di dicembre, per favorire il ricambio generazionale al vertice. Dunque uno dei due co-leader sicuramente cambierà: ma l’altro - o meglio, l’altra? Saskia Esken è sembrata per lungo tempo indecisa su quale opzione scegliere: se ricandidarsi per la presidenza o se invece tentare di negoziare la propria presenza al governo, magari al Ministero dell’Istruzione o in quello dello Sviluppo, per cui è stato suggerito il suo nome. Il problema però è che una strada esclude l’altra. O si fa il capo del partito o si fa il Ministro, e questo il capogruppo al Bundestag Rolf Mützenich l’ha messo bene in chiaro.
Esken sembra aver scelto: si ricandiderà alla guida del partito. Va detto che i tempi hanno contribuito a metterla sotto pressione perché risolvesse la questione il prima possibile. Le trattative per la formazione del governo vanno avanti, ma la questione delle nomine verrà discussa per ultima, verso fine mese. La SPD però non vuole perdere tempo per dotarsi di una nuova leadership. Il congresso è previsto per inizio dicembre, e già lunedì prossimo dovrebbero arrivare le prime proposte. Era quindi essenziale che Esken facesse chiarezza già entro questa settimana.
La domanda aperta, adesso, è chi sostituirà Walter-Borjans. Uno dei nomi più accreditati è quello di Lars Klingbeil, attuale Generalsekretär del partito, che però secondo alcuni è anche in lizza per un ministero. In entrambi i casi si aprirà quindi un’altra posizione, quella appunto di Generalsekretär: e in molti ritengono che potrebbe finirci un uomo molto vicino a Klingbeil, che altri non è se non Kevin Kühnert, l’ex capo degli Jusos e volto noto della sinistra del partito.
Ma c’è anche un’altra questione che aleggia, più ampia e più strategica. Con la probabile elezione di Olaf Scholz a Kanzler, è chiaro che l’asse del potere tra i socialdemocratici si sposterà in maniera significativa dalla Willy-Brandt-Haus alla Cancelleria. Il punto cruciale, a cui tutto verrà inevitabilmente subordinato, sarà mantenere il governo e non mettere a rischio la sopravvivenza della coalizione: sarà quindi necessario mettere le questioni interne al partito in secondo piano rispetto a quelle del governo. Chi può offrire le migliori garanzie a Olaf Scholz in questo senso? O altrimenti detto: chi accetterà di essere capo del partito di nome ma non di fatto, mettendo da parte visibilità, ambizioni e influenza?
Grünen
Come dicevamo sabato scorso, è praticamente sicuro che anche i Verdi dovranno trovare un nuovo Spitzenduo. L’ingresso di Annalena Baerbock e di Robert Habeck nel governo è dato per scontato, e da regolamento i due dovranno rimettere il mandato.
Chi li sostituirà? Anton Hofreiter, esponente molto noto della sinistra del partito, sembra fuori gioco perché probabilmente finirà anche lui al governo. Per motivi di equilibrio interno, oltre ai due Realos moderati Baerbock e Habeck traslocheranno in un ministero anche due Fundis, esponenti cioè dell’ala più radicale, uno dei quali dovrebbe essere appunto Hofreiter.
I nomi più gettonati per la guida del partito sono per ora quelli di Ricarda Lang, attuale vice e più vicina ai Fundis, e del moderato Omid Nouripour, deputato di Francoforte. Non è escluso che arrivino altre candidature, ma è improbabile che abbiano la forza necessaria per scalzare Lang e Nouripour - anche perché i Verdi intendono tenersi stretta l’immagine di coesione e compattezza che li ha caratterizzati in questi ultimi anni, e una nuova coppia al vertice eletta senza concorrenti farebbe proprio al caso loro.
Abbiamo visto i vincitori. Ora invece diamo un’occhiata agli sconfitti
CDU
La situazione fra i conservatori continua a essere estremamente caotica. L’unica certezza è che per conoscere il successore di Armin Laschet bisognerà aspettare fine gennaio, quando la CDU si riunirà a congresso ad Hannover per eleggere il suo nuovo leader. I delegati avranno un ruolo cruciale, come sempre quando si tratta di un Parteitag, ma non è ancora chiaro che peso avranno le sezioni sparse sul territorio e gli iscritti. Molti militanti vorrebbero avere più voce in capitolo ed essere maggiormente coinvolti, ma non è detto che il loro desiderio diventerà realtà.
I pretendenti alla guida sono numerosi, ma i nomi più presenti sulle prime pagine dei giornali, in questi giorni, sono due vecchie conoscenze. Uno dei primi a farsi avanti è stato Norbert Röttgen, che già si era candidato a gennaio scorso. Sconfitto al primo turno in quell’occasione, il suo obiettivo è probabilmente quello di raccogliere intorno a sé il corpo centrista del partito, che vuole sì un rinnovamento dopo la catastrofe ma non gradirebbe allontanarsi troppo dal corso moderato di questi anni. L’altro nome forte è l’avversario di allora: Friedrich Merz, che dopo due sconfitte nel 2018 e lo scorso gennaio spera finalmente di prendersi il partito e spostarlo più chiaramente a destra.
E stavolta Merz ha un piano. Coinvolgere un altro esponente di spicco per formare un ticket con cui sbarrare la strada a Röttgen. Un po’ come fece Laschet la volta scorsa, che in coppia con Jens Spahn riuscì a sconfiggerlo al ballottaggio. E per essere sicuro di replicare non solo la strategia di Laschet, ma anche il suo risultato vittorioso, Merz sembra intenzionato a prendersi pure lo stesso partner: sono sempre più insistenti le voci che vedono Spahn scendere in campo a fianco dell’avversario di un anno fa. Un ruolo importante in questo team dovrebbe averlo anche Carsten Linnemann, deputato esperto di politiche economiche e vicecapogruppo al Bundestag.
Linke
Per la Linke il discorso è un po’ diverso. La leadership del partito di sinistra è stata eletta relativamente da poco, e nonostante la catastrofe elettorale è improbabile che lo Spitzenduo composto da Susanne Hennig-Wellsow e Janine Wissler venga messo in discussione. Molto diverse sono invece le cose per i capigruppo al Bundestag, Dietmar Bartsch e Amira Mohamed Ali.
Alcuni esponenti di primo piano spingono per le loro dimissioni: un attacco che non riguarda solo loro, ma in generale tutto il metodo di selezione dei ruoli all’interno del partito. Come noto, la Linke è strutturalmente attraversata da una divisione profondissima fra i moderati e i radicali, e tutti i posti di vertice sono sempre stati suddivisi in maniera molto precisa - un leader ai moderati e un altro ai radicali, un capogruppo ai moderato e un altro ai radicali, un candidato Cancelliere ai moderati e un altro ai radicali. Questa strategia dello Hufeisenbündnis, della “alleanza a ferro di cavallo” fra i due poli opposti, ha avuto tutto sommato poco successo nel mantenere le tensioni sotto il livello di guardia, e chiaramente non ha neanche pagato dal punto di vista elettorale. Molti si augurano una ventata di novità che spazzi via vecchi leader e vecchi rituali, ma non è per nulla chiaro cosa dovrebbe sostituire il ferro di cavallo, e come.
E poi la Linke ha sempre il solito problema da risolvere: cosa fare con Sahra Wagenknecht.
Wagenknecht sta diventando una delle leader più vocali del fronte scettico sui vaccini. Non è una no-vax, ma non si è ancora vaccinata e non sembra intenzionata a farlo, visto che secondo lei la somministrazione dovrebbe riguardare solo le categorie a rischio e gli anziani.
Le sue uscite sono però sempre meno sopportate nel partito, tanto che in tanti chiedono ormai che venga espulsa. Sono numerosi però anche i suoi sostenitori, i quali invece si augurano che esca lei dal partito per fondare un nuovo movimento che dia vita alla “vera sinistra”. Lei ci aveva già provato con Aufstehen, e non era andata benissimo nonostante le premesse favorevoli. Non è chiaro come andrà a finire questa volta, ma tutto sembra indicare che il futuro di Wagenknecht e quello della Linke seguiranno strade diverse.
Tutti questi movimenti interni ai partiti potrebbero però ben presto passare decisamente in secondo piano. In Germania è infatti esplosa con deflagrante potenza la quarta ondata dei contagi, facendo registrare numeri molto elevati fra nuove infezioni e decessi. L’incidenza settimanale è schizzata a 183 contagi ogni 100.000 abitanti, una quota che visto il tasso di vaccinazione ampiamente insufficiente (intorno al 67%) fa veramente paura. Il Ministro della Salute Jens Spahn spinge perché a tutti venga somministrata una terza dose di vaccino, ma con questi numeri ormai nuove restrizioni, solo per i non vaccinati o per tutti quanti, non si possono più escludere. Se vi va ne ho parlato un po’ con Giovanni Acquarulo a Moka, giovedì mattina.
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Prima dei saluti, qualcosa da leggere.
La settimana scorsa parlavamo delle critiche rivolte a Christian Lindner da Joseph Stiglitz: il capo dei liberali sarebbe una pessima scelta per il Ministero delle Finanze, secondo il premio Nobel per l’Economia. È realmente così? Lindner ha davvero le credenziali per poter ambire a quel dicastero? Se lo chiede Politico.
Il 30 ottobre scorso ha segnato il sessantesimo anniversario dell’Anwerbeankommen, l’accordo turco-tedesco per il reclutamento di forza lavoro che ha portato in Germania un enorme numero di lavoratori turchi ed è all’origine della formazione di una grandissima comunità turca in Germania. Per celebrare la ricorrenza, il Ruhr Museum di Essen espone le opere del fotografo turco Ergun Cagatay. Deutsche Welle ne propone una galleria.
Infine, un interessante editoriale di Tom McTague sull’Atlantic sulla “merkelizzazione del mondo”, una tendenza ormai globale che ha a che fare con la riluttanza ad assumere la leadership ed emersa molto chiaramente, secondo l’autore, dopo il G20 di Roma e il COP26 di Glasgow.
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