La pandemia ha colpito tutti in modo inaspettato e drammatico; e fra i partiti tedeschi a soffrirne di più sono stati sicuramente i Grünen.
Il partito ecologista veniva da mesi di autentico trionfo: dopo gli strabilianti risultati delle regionali in Baviera e in Assia del 2018, le Europee del maggio 2019 avevano rappresentato un altro lampante successo, avvalorando l’impressione che l’onda verde fosse ormai quasi inarrestabile - nonostante i numeri non esaltanti usciti dalle urne nel voto dei Länder a Est. Reduci da un congresso a fine novembre che aveva confermato la leadership di Robert Habeck e Annalena Baerbock con percentuali bulgare (per Baerbock addirittura il 97,1%), i Verdi sembravano pronti a un 2020 in cui non solo festeggiare i 40 anni dalla fondazione, ma soprattutto continuare la loro vertiginosa ascesa in vista delle prossime elezioni politiche.
Invece nel 2020 è arrivato il Coronavirus, e con lui il grande ritorno di popolarità per il governo e Angela Merkel. Quasi ovunque la crisi scatenata dalla pandemia ha portato consenso per i governi in carica e poco spazio di manovra per le opposizioni. Questa dinamica si è rivelata particolarmente accentuata in Germania, dove la Cancelliera e i suoi Ministri hanno ripreso il largo nei sondaggi portandosi dietro anche i due partiti alleati nella Grosse Koalition, CDU e SPD. All’opposto, i Grünen hanno subito una brutta battuta d’arresto, risultando chiaramente gli sconfitti di questa fase.
Le ragioni dietro questo crollo sono numerose. Una è quella, già ricordata, dell’effetto rally ‘round the flag, che di solito porta grandi picchi di popolarità ai governi in carica durante una crisi: i Grünen non hanno posizioni di governo, e amministrano un solo Land (il Baden-Württemberg, guidato da Winfried Kretschmann), quindi hanno scarsa visibilità a livello nazionale. Sono però parte delle coalizioni che governano ben 11 Länder, e sono attivamente coinvolti nella gestione delle misure di contenimento e di sostegno concordate a livello federale: sarebbe complicato per loro mostrarsi responsabili e collaborativi nelle regioni e al tempo stesso spingere sul pedale dello scontro sul piano nazionale.
Il tema della gestione della pandemia, poi, colonizza quasi completamente il dibattito pubblico. Vista la gestione complessivamente solida della crisi in Germania da parte del governo, è difficile trovare una posizione alternativa, facilmente identificabile e originale, che però si distanzi inequivocabilmente dalle assurdità complottiste e cospirazioniste. Dato il contesto, i Grünen soffrono di mancanza di spazio. È di vitale importanza che i temi a loro più congeniali tornino presto sul tavolo, ma il momento in cui questo accadrà pare ancora lontano. D’altra parte se davvero vogliono accreditarsi come forza matura di governo, anche a livello nazionale, devono esprimere una visione riconoscibile sulla questione letteralmente più importante del mondo.
Il calo nei sondaggi ha ridimensionato temporaneamente le loro ambizioni: a fine 2019 potevano addirittura puntare a sfidare direttamente l’Union, con uno scarto secondo alcune rilevazioni di soli cinque punti percentuali. Nella fase più critica della prima ondata, quella fra marzo e maggio, il distacco dall’Union era diventato incolmabile. L’avversario diretto tornava ad essere la SPD, con l’obiettivo di raggiungere il 20% e conquistare il secondo posto. Ora che siamo nel pieno della seconda ondata la situazione è invariata: i sondaggi più recenti danno i Grünen stabilmente intorno al 20%. Un gran risultato rispetto all’8,9% delle scorse politiche, ma il sogno di diventare il primo partito è definitivamente tramontato.
Manca ancora moltissimo tempo, ma sembra certo che la sfida sarà con la SPD: la guida del campo progressista è in questa fase vacante e contendibile, e a giocarsela saranno questi due partiti. Occhio però: campo progressista, non necessariamente “di sinistra”. Perché i Verdi non sono necessariamente una forza “di sinistra”.
Partito post-ideologico per definizione, i Verdi tedeschi sono riusciti a diventare il riferimento più credibile per alcuni temi trasversali della sfera progressista - come i diritti civili, la difesa dell’ambiente, l’integrazione europea - e a compiere così il salto verso una dimensione ben più ampia rispetto a quella del semplice “movimento ecologista”. Un passaggio consolidato in anni e anni di esperienza di governo, soprattutto a livello locale, ma anche sul piano nazionale durante i due mandati da Cancelliere di Gerhard Schröder. Il loro pragmatismo li rende una forza in grado di dialogare con tutti (tranne AfD, ovviamente): nelle maggioranze di governo di cui fanno parte, in 11 Länder, si trovano tutti i partiti, dalla Linke alla FDP passando per CDU e SPD. E se come tutto lascia supporre alle prossime elezioni saranno la seconda forza, o la terza giusto per un’incollatura, faranno parte di ogni possibile schema di alleanza. Sul piatto potrebbero esserci una tradizionale coalizione rosso-rosso-verde con SPD e Linke, o più probabilmente verde-rosso-rosso, visti i rapporti di forza, così come un accordo con l’Union. Il leader della CSU e potenziale Kanzlerkandidat Markus Söder si è già dichiarato molto disponibile ad una collaborazione.
Il loro posizionamento potrebbe essere riassunto come il tentativo di puntare al centro da una prospettiva progressista, sfidando da un lato la SPD su temi a cui la sinistra è tradizionalmente sensibile e dall’altro la parte più moderata dell’Union nel tentativo di allargare il bacino di potenziali elettori: una strategia che in Baviera, in Assia e alle Europee si è rivelata vincente. Certo, ora si tratta di realizzare lo stesso capolavoro anche sul palcoscenico principale, quello delle Bundestagswahl: come diceva un editoriale della Süddeutsche Zeitung di un anno fa, in molti sono entrati per la prima volta nella casa dei Grünen, ora si tratta di convincerli a restare e ad accomodarsi sul divano. Per loro fortuna, però, i Verdi possono contare su una leadership perfettamente equipaggiata per lo scopo.
Robert Habeck e Annalena Baerbock funzionano - non ci sono molti altri modi di spiegarlo più semplicemente. Sono perfettamente complementari: Habeck è la star, il volto più famoso e quello più ricercato dai media, alle cui attenzioni si concede piuttosto volentieri; Baerbock è invece la politica competente, sempre molto preparata ed esperta nell’affrontare le questioni dal lato dei contenuti. Sarebbe estremamente riduttivo dire che lei ci mette le idee e lui la faccia, ma rende l’idea della “divisione dei compiti” fra i due. E poi sembrano essere riusciti a compiere un vero e proprio miracolo: tenere insieme le due anime del partito e dare l’impressione che i Grünen siano finalmente un insieme coeso.
Da sempre la vita dei Verdi tedeschi è caratterizzata dalla fortissima tensione fra i Fundis, i “fondamentalisti”, e i Realos, i “realisti”. Le guerre intestine fra i due fronti sono tradizionalmente uno dei motivi per cui in passato anche elettori che li guardavano con favore finivano col votare altri partiti, che almeno davano l’idea di essere più uniti all’interno e meno litigiosi. Invece da quando ci sono Habeck e Baerbock, due moderati apprezzati però anche dai radicali, i Grünen vengono percepiti come un blocco compatto, che certo ospita sensibilità diverse ma si riconosce nella loro leadership. Un’impresa che ha dell’incredibile, e che certo è dovuta anche ai successi raccolti in questi anni - visto che se le cose vanno bene diminuiscono i motivi per essere scontenti.
Per il weekend del 20 novembre era previsto un importante congresso a Karlsruhe, la città in cui fu fondato il partito 40 anni fa. L’obiettivo era quello di approvare un nuovo programma per il voto dell’anno prossimo, ma la pandemia ha costretto a rivedere i piani e a spostare il congresso online.
Rimane però ancora aperta la domanda più importante, e cioè quella sulla candidatura per la Cancelleria. Habeck è il più noto e il più apprezzato, quindi sarebbe una scelta quasi scontata (e sostenuta da due esponenti di primo piano come Winfried Kretschmann e Daniel Cohn-Bendit); Baerbock però ha dalla sua un sostegno maggiore all’interno del partito. Finora nessuno si è fatto avanti in maniera scoperta, ed è improbabile che al Parteitag digitale del 20 il nodo venga sciolto: non in questo momento così delicato - in Germania si viaggia ancora sui 20.000 nuovi contagi al giorno - e non con la situazione nella CDU ancora così in alto mare, visto che la strategia da mettere in campo cambierebbe non poco se alla guida dell’Union ci fosse Friedrich Merz invece che, ad esempio, Markus Söder.
Stavolta tuttavia la scelta sarà molto più importante rispetto agli altri anni: la Cancelleria ai Verdi, per quanto improbabile, non è più un’idea del tutto peregrina.
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Qualche consiglio di lettura a tema verde prima di salutarci.
Innanzitutto un lungo pezzo molto interessante sull’ingresso dei Grünen “nell’età adulta”, apparso a inizio anno sull’edizione internazionale dello Spiegel. Poi un paio di ritratti dei due leader: uno di Annalena Baerbock, pubblicato dal Berlin Spectator, e due di Robert Habeck, sul Guardian e sullo Handelsblatt - tutti articoli molto utili per farsi un’idea più precisa dei due personaggi.
Noi ci sentiamo la settimana prossima: copritevi bene che ce ne andiamo a destra, ma molto a destra - a parlare di AfD.
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