RESET 2021 - Numero 48: E se avesse ragione Olaf?
Riusciremo davvero ad avere un governo prima di Natale?
Commentando i risultati del voto, la sera del 26 settembre, abbiamo tutti immaginato tempi lunghissimi per la formazione del governo. Prima del 2022 non se ne parla, abbiamo detto, e abbiamo scherzato sul fatto che anche stavolta il tradizionale discorso di fine anno dovrà farlo Angela Merkel.
Forse però siamo stati troppo pessimisti. E abbiamo sottovalutato quanto i tedeschi vogliano vedere l’Union finalmente all’opposizione.
Il 74% degli intervistati pensa che l’Union dovrebbe andare all’opposizione, persino il 49% fra gli stessi elettori dello schieramento conservatore
Tutto sembra procedere in maniera molto spedita verso il semaforo, l’accordo fra SPD, FDP e Grünen. La settimana scorsa i colloqui esplorativi fra Verdi e liberali sono stati molto positivi, pare. Fra sabato e domenica si sono tenuti gli incontri con i partiti maggiori: tutto bene con la SPD, con l’Union invece qualche problema c’è stato. In questa fase un elemento essenziale è la confidenzialità di quanto viene discusso. Tutte le delegazioni sono estremamente attente a non far trapelare nulla, in modo che a venire diffuse siano solo le dichiarazioni ufficiali alla stampa dopo gli incontri.
Tutte le delegazioni tranne una, evidentemente. Subito dopo l’incontro fra liberali e conservatori, alcuni siti di news hanno pubblicato delle indiscrezioni su quanto discusso, e tutti sono concordi nel ritenere responsabile la delegazione dell’Union.
C’è chi la prende un po’ sul ridere, come il capo della Junge Union in Nordreno-Vestfalia Johannes Winkel, che collega il fatto al contemporaneo crollo di Whatsapp:
“Whatsapp è crollato perché troppi membri della delegazione dell’Union volevano far trapelare informazioni riservate dai colloqui esplorativi.” L’ex Generalsekretär della CDU Peter Tauber ha rilanciato il tweet, dicendo che “tutti sanno di chi si tratta.”
Ma a prenderla male sono stati soprattutto i liberali, per i quali si tratta di un vero e proprio tradimento della fiducia richiesta per queste delicate trattative.
“Come può esserci fiducia per collaborare, in queste condizioni?” si chiede Sandra Weeser, esponente della FDP
Per Armin Laschet a questo fine settimana andato male è seguito un martedì finito peggio. La mattina si è tenuto l’incontro fra la delegazione dei Grünen e quello dell’Union: nella conferenza stampa a seguire Annalena Baerbock e Robert Habeck hanno detto che sì, per carità, loro sono gentili e disponibili, ma le differenze rimangono. E poi hanno lanciato alla FDP la proposta di iniziare la fase successiva, quella delle trattative a tre per iniziare davvero il processo che porterà al nuovo governo, e di farlo con la SPD. Lindner e i suoi hanno risposto a stretto giro, accettando.
Come se non bastasse ci si è messo di mezzo pure Markus Söder. Il capo della CSU ha dichiarato che questo nuovo scenario corrisponde di fatto a una rinuncia alla Jamaika, togliendola dal novero delle opzioni possibili.
Armin Laschet continua pervicacemente a sostenere che in realtà si tratta di un’ipotesi ancora percorribile, ancora realizzabile. Ma a crederci è rimasto praticamente solo lui.
Come abbiamo ripetuto spesso, Laschet continua a tenere in ballo la Jamaika perché è la sua unica ancora di salvezza, ma nell’Union la confusione è ormai a livelli elevatissimi. Sono sempre di più gli esponenti che spingono per un “nuovo inizio”, che ovviamente vuol dire una nuova leadership, sia nella CDU che nella coalizione. Söder chiaramente spinge perché si vada all’opposizione: in questo modo avrebbe altri quattro anni per consolidare la sua posizione all’interno dello schieramento conservatore e provare di nuovo la candidatura alla Cancelleria. Ma quattro anni sono lunghi, chissà cosa può succedere nel frattempo.
Nella CDU ormai non si contano i pretendenti alla guida, anche se naturalmente finora nessuno si è fatto avanti. Sono sempre più numerose le dichiarazioni e le interviste di chi chiaramente vuole già testare le acque. Fra i più vivaci i due sfidanti di Laschet al congresso di gennaio: Norbert Röttgen e Friedrich Merz.
Parlando con il Tagesspiegel, Röttgen ha sottolineato l’urgenza di discontinuità, non solo a livello di personale ma anche di linea nella CDU. Il rinnovamento deve essere globale: deve coinvolgere ogni aspetto - “partito, gruppo parlamentare, contenuti, comunicazione, personale.” Quanto alle ambizioni personali, non è questo il momento, ha detto Röttgen - che è esattamente la cosa che si dice quando invece le ambizioni ci sono eccome.
E uno che sembra non vedere l’ora di poter finalmente mettere le mani sul partito è Friedrich Merz. Addirittura la settimana scorsa si parlava di un clamoroso ricambio al vertice, con Merz a rimpiazzare un deposto Laschet; e se per adesso l’ipotesi pare scongiurata, l’anti-Merkel si sta chiaramente preparando per l’affondo. Intervistato nel talk show politico condotto da Maybrit Illner Merz ha detto di non aver ancora deciso se candidarsi di nuovo, ma tutti i segnali che sta lanciando - dalla grande visibilità sui giornali e in tv alle melliflue dichiarazioni di stima e sostegno nei confronti di Laschet - puntano in una direzione ben precisa.
Che Laschet sia ormai al capolinea è emerso con grande evidenza giovedì sera, quando durante una riunione con i vertici della CDU il capo del partito ha indirettamente messo sul tavolo il suo passo indietro. Laschet si è detto disponibile a “moderare” il percorso di rinnovamento, ma con l’intenzione di restare il punto di riferimento principale nelle eventuali trattative con FDP e Grünen in caso rispunti l’ipotesi Jamaika. Come detto si tratta però di un’opzione davvero remota.
E Laschet non può neanche tornare a fare il Ministerpräsident in Nordreno-Vestfalia. Ottenuta la candidatura alla Cancelleria aveva escluso un suo ritorno alla guida del Land: o a Berlino, o niente. E proprio in questi giorni è stato identificato il suo successore a Düsseldorf: Hendrik Wüst, l’attuale Ministro dei Trasporti nel governo regionale. Wüst non avrà un compito facile: è vero che non bisogna mai mischiare le elezioni politiche con quelle regionali, ma il 26 settembre in Nordreno-Vestfalia la CDU ha perso più di 647.000 voti.
Prende sempre più corpo l’ipotesi di un nuovo congresso, in cui inevitabilmente si porrà la questione della leadership, e fra quelli che suggeriscono questa ipotesi c’è anche Jens Spahn, il Ministro della Salute che al Parteitag di gennaio correva in ticket con Laschet. È naturale che, in questo scenario, anche lui si stia facendo due conti. Ma sono molti i potenziali pretendenti, come racconta questo pezzo dello Spiegel.
Chi invece ha la strada in discesa davanti a sé è Olaf Scholz. Certo, in discesa relativamente: bisogna pur sempre trovare un compromesso che accontenti sia la FDP che i Grünen. Ma le cose sembrano procedere con rapidità verso il semaforo. Questa settimana ci sono stati i primi contatti a tre, a detta delle delegazioni molto positivi, e la prossima potrebbe già prendere forma un Sondierungpapier, un “documento esplorativo” che inizierà a mettere per iscritto alcuni punti. Lo ha detto Hans-Ulrich Rülke, uno dei dirigenti dei liberali, che non ha escluso del tutto la Jamaika ma ha chiarito con efficacia lo stato della questione. “L’opzione Jamaika non è morta, ma il paziente CDU giace in terapia intensiva.”
La sera dopo il voto Olaf Scholz ha detto che si aspettava di riuscire a formare un governo prima di Natale. Lo abbiamo preso un po’ tutti in giro, prevedendo tempi biblici.
E se invece avesse ragione lui?
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Cosa leggere questo fine settimana?
Cominciamo con due pezzi dall’edizione internazionale dello Spiegel. Il primo è un’intervista a Olaf Scholz, probabile prossimo Cancelliere; il secondo invece è un bell’editoriale sulle sfide che attendono il governo a livello globale, un tema centrale ma molto poco discusso durante la campagna elettorale.
Politico analizza affinità e divergenze fra i due kingmaker usciti dalle urne, FDP e Grünen.
Infine, cosa è riuscita a ottenere Angela Merkel per le donne, in politica e non solo? Non molto, dice Deutsche Welle, e prova a spiegare perché.
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