RESET 2021 - Numero 37: Il fattore Maaßen
Continuano le polemiche sul libro di Annalena Baerbock, mentre Armin Laschet deve di nuovo mettere una pezza dopo una dichiarazione dell'ex capo dei servizi segreti, attuale candidato CDU in Turingia
Ci eravamo lasciati la settimana scorsa sui dolori di Annalena Baerbock, alle prese con un sacco di problemi tra cui ultimo l’accusa di plagio riguardo al suo libro appena uscito, e di nuovo questa settimana ci tocca parlare della faccenda. Un altro ricercatore, Martin Heidingsfelder, ha accusato la candidata verde di aver copiato alcuni passaggi da uno studio del think tank Agora Energiewende e del Wuppertal Institut, un’organizzazione che si occupa di clima, ambiente ed energia. C’è chi ritiene tutta la questione un po’ una perdita di tempo, e il segnale di un accanimento contro Baerbock che ha poco di politico e molto di squallido - tanto che lo stesso direttore dell’Agora Energiewende, Patrick Graichen, ha detto che “non si tratta assolutamente di un plagio, ma anzi è nel nostro interesse che i politici riprendano il nostro lavoro e i nostri concetti”, e a difesa della leader verde sono arrivati anche insospettabili come Sigmar Gabriel, ex capo della SPD, il candidato socialdemocratico Olaf Scholz e addirittura l'ex leader CSU Horst Seehofer. Ma per altri è invece proprio la goccia che fa traboccare il vaso: in un durissimo editoriale apparso sulla taz, quotidiano berlinese molto di sinistra che nei mesi scorsi aveva portato Baerbock in palmo di mano, Silke Mertins accusa la candidata verde di aver voluto ancora una volta “apparire più grande di quanto in realtà è”, con in più l’aggravante di non riuscire a capire di aver fatto di nuovo degli errori. Se si va avanti così, c’è il rischio concreto che i Grünen precipitino in fretta ai livelli del 2017, intorno al 9%, dice Mertins: “se Baerbock ha davvero a cuore il clima e il futuro delle prossime generazioni, deve consegnare il prima possibile la sua candidatura a Robert Habeck”, l’altro leader verde. Per sua fortuna, la candidata Cancelliera ha dietro di sé il partito compatto e la sua nomina non è in pericolo, ma certo non si tratta di un segnale incoraggiante a meno di tre mesi dal voto.
È però successa un’altra cosa questa settimana, che potrebbe permettere a Baerbock e ai Verdi di respirare un po’ e sottrarsi almeno temporaneamente alle bordate: ha parlato Hans-Georg Maaßen, l’ex capo dei servizi segreti interni da sempre molto vicino ad AfD e ora contestatissimo candidato CDU per il Bundestag in Turingia.
In un’intervista a tv.Berlin Maaßen si è scagliato contro l’attuale stato dell’informazione tedesca, segnata da “una chiara tendenza di sinistra” e colpevole di omettere fatti e utilizzare “trucchi” per manipolare l’opinione pubblica. E non solo: l’ex Presidente del BfV ha anche proposto di controllare la biografia dei redattori e indagare le loro “tendenze” politiche, per proteggere il pubblico da queste malsane influenze. Come potete immaginare le reazioni sono state durissime, e Maaßen ha dovuto provare in fretta a correggere il tiro: in un tweet ha ripetuto di voler combattere “l’informazione tendenziosa nei media pubblici”, ma ha assicurato di non voler introdurre alcun tipo di “controllo dell’orientamento” del lavoro giornalistico.
La mezza smentita non è tuttavia servita a granché: non è certo la prima volta che Maaßen si lascia sfuggire dichiarazioni imbarazzanti e indifendibili, o affermazioni più in linea con l’ala radicale di AfD che con quella della CDU, e per molti si tratta di un problema la cui risoluzione non è più rimandabile. Oltretutto Armin Laschet, capo del partito e candidato Cancelliere dell’Union, continua a mantenere un atteggiamento in qualche modo ambiguo sulla faccenda. Da un lato prende le distanze dalle dichiarazioni più discutibili di Maaßen (anche se lasciando sempre passare qualche giorno), dall’altro continua a dirsi certo della “fede democratica” del suo candidato e assicura di non poter fare nulla rispetto alla decisione della federazione turingiana, che ha deciso di inserirlo nelle liste elettorali. Dal canto suo Laschet continua a ripetere che “con AfD non ci sarà nessuna cooperazione, e neanche trattative”, e che si attende una rigida osservazione della linea stabilita da parte di tutti gli eletti del partito, ma l’impressione è che il candidato Cancelliere stia giocando una partita molto rischiosa. Come nota l’editoriale dello Spiegel, ogni volta che Maaßen “si lascia andare alle sue dichiarazioni da teoria del complotto, subito sorgono le domande: ma questa è la posizione della CDU? Il partito può tollerarlo? O deve cacciarlo via? E Laschet da che parte sta?”.
E ogni volta è una gran fatica, per il partito, cercare di sgombrare il campo dalla confusione e dai sospetti. Oltre alla fatica, poi, si insinua anche molto nervosismo nel campo dei conservatori, soprattutto perché ormai manca poco al voto - e perché Laschet sembra metterci sempre un po’ troppo a commentare le uscite di Maaßen, mentre quello che servirebbe sarebbe un posizionamento chiaro e deciso.
I conservatori sperano di lasciarsi questa storia presto alle spalle, anche perché proprio nei giorni scorsi hanno ufficialmente dato il via alla fase finale della campagna elettorale.
Il Generalsekretär Paul Ziemiak ha presentato martedì a Berlino lo slogan e i manifesti: il motto scelto è Deutschland gemeinsam machen, “Fare la Germania insieme”. Un segnale forte di intesa e di compattezza della CDU, che secondo Ziemiak deve caratterizzarsi come un partito des Sowohl-als-auch, “del non-solo-ma-anche” (dove l’ho già sentita questa?).
L’obiettivo è quello di rilanciare l’immagine dei conservatori, dandole un sapore più moderno ma senza rinunciare a un tocco tradizionale. Date le circostanze la campagna digitale avrà naturalmente un ruolo cruciale: non mancheranno eventi più classici, come il porta a porta o i comizi nelle piazze, ma la parte online sarà importantissima. Anche la tempistica cambierà, a causa della pandemia: visto che ci si attende un numero elevatissimo di voti per posta, il momento decisivo non sarà alla fine, quando si tratta di convincere gli indecisi, ma appunto quando scatterà il voto postale, sei settimane prima del 26 settembre. È a quel punto che la CDU prevede di intensificare la campagna. Pianificato anche un lungo tour estivo per Armin Laschet. Uno sforzo complessivo di circa 20 milioni di euro, secondo Ziemiak in linea con le 4 campagne elettorali precedenti - “anzi, un po’ meno cara, se consideriamo l’andamento dei prezzi”.
Non sono però mancate le critiche, soprattutto per quanto riguarda i cartelloni presentati e l’assenza di diversità che mostrano. Il politologo Johannes Hillje, ad esempio, ha sottolineato come nelle immagini non si veda un cittadino con background migratorio neanche a pagarlo.
“La CDU scrive: ‘Fare la Germania insieme’ sui suoi cartelloni, ma nelle immagini non include nessuno con una riconoscibile storia di migrazione. Lo ricordo: quasi un quarto della popolazione tedesca ha alle spalle una storia di migrazione.”
Magari la ragione è che i cartelloni non ritraggono modelli o cittadini “normali”, ma membri e collaboratori del partito?
Un altro problema ha poi a che fare con l’idea che la CDU possa davvero essere la forza più indicata a guidare il “decennio di modernizzazione” che il partito promette. Un sondaggio realizzato dall’istituto Civey mostra come per questo tema specifico i tedeschi sembrano fidarsi di più di un governo con alla testa Annalena Baerbock.
Anche durante la conferenza stampa di Ziemiak, comunque, si è finito col parlare di Maaßen. Alcuni cartelloni ritrarranno Laschet insieme ad altri candidati, ma non con il candidato turingiano. Un manifesto del genere “non è pensabile”, ha detto il Generalsekretär.
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Questa settimana ci sono parecchie cose che vale la pena segnalare, inclusi un paio di pezzi in tedesco.
Non fate l’errore di credere che Maaßen sia un caso isolato, o che la CDU sia l’unico partito a dover fare i conti con esponenti di primo piano che causano grande imbarazzo. Questo articolo di Deutsche Welle, oltre all’ex capo dei servizi segreti, cita altri tre casi, uno per partito: Boris Palmer per i Grünen, Sahra Wagenknecht per la Linke e Thilo Sarrazin per la SPD (da cui è però stato cacciato l’estate scorsa).
Forse sapete che, oltre ai partiti principali, anche in Germania esiste una miriade di partitini, che comunque possono provare a partecipare alle elezioni politiche - sono i cosiddetti Kleinparteien, i “piccoli partiti”. Spesso di dimensione locale, o focalizzati su un singolo tema, questi partiti possono fare domanda al Bundeswahlausschuss (la commissione elettorale federale) per partecipare alle elezioni politiche, e se rispettano tutti i requisiti possono essere ammessi alla competizione. Venerdì 9 luglio, termine ultimo per comunicare i partecipanti alle elezioni del 26 settembre, la commissione ha deciso di ammettere anche Der III. Weg (“La terza via”), un piccolo partito - circa 580 iscritti - di destra estrema, ma davvero estrema. Secondo Carsten Schneider, della SPD, si tratta di “un partito organizzato in maniera paramilitare e che si posiziona ancora più a destra della NPD”, cioè il Nationaldemokratische Partei Deutschlands (“Partito nazionaldemocratico di Germania”), formazione praticamente neonazista. Ne parla la Frankfurter Rundschau. Deutsche Welle invece scrive di due partiti estromessi dalla commissione: il Partito Comunista Tedesco (DKP), che non ha presentato la documentazione in tempo, e l’Anarchistische Pogo-Partei Deutschlands (“Partito Pogo-Anarchico di Germania”), una specie di Spaßpartei (“partito-scherzo”) che ha inoltrato la richiesta solo in formato in digitale, il che da regolamento non è sufficiente.
Qui potete trovare l’elenco di tutti i partiti, grandi e piccoli, in corsa per il Bundestag a fine settembre.
Terzo appuntamento su Kater con il confronto dei programmi dei partiti tedeschi: questa volta Simone Vona ci parla di politica estera ed Europa.
Sulla Süddeutsche Zeitung un interessante progetto grafico dedicato al confronto delle proposte dei vari partiti nei loro effetti sulle diverse classi sociali, per capire meglio chi ci guadagna e chi ci perde. È in tedesco, ma i grafici si capiscono benissimo anche se non si mastica la lingua.
Infine, sempre sulla Süddeutsche Zeitung un bel ricordo di Raffaella Carrà, “icona di libertà dell’Italia”.
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