RESET 2021 - Numero 16: Fra neonazisti e rifugiati
Le storie di due candidati, uno alle comunali in Assia e l'altro alle politiche di settembre
Christian Wenzel è un 43enne di Helsa, una piccola cittadina nel distretto di Kassel, nel nord dell’Assia. Di mestiere fa il macchinista ferroviario.
Fin da ragazzo si è appassionato alla politica, solo che la politica che piace a lui è di un tipo un po’ particolare: è quella di estrema destra. Intorno al 2000 ha fondato e diretto il gruppo di militanti neonazisti Kameradschaft Kassel, ed è entrato in contatto con altri estremisti dei Länder orientali e soprattutto con Blood and Honour, uno dei principali network neonazi in Europa (oggi fuorilegge in Germania).
È insomma una figura di primo piano della scena neonazista locale, in una zona in cui ci sono stati numerosi episodi di violenza. Proprio a Kassel nell’estate del 2019 è stato ucciso il prefetto Walter Lübcke, esponente della CDU sostenitore delle politiche di apertura nei confronti di migranti e rifugiati. Data la comune militanza, Wenzel conosceva bene l’assassino, che si chiama Stephan Ernst ed è un altro neonazista. Non solo: Wenzel è stato coinvolto anche nelle indagini sulla NSU, la cella terroristica neonazista responsabile di una decina di omicidi fra il 2000 e il 2007. Ascoltato come testimone dalla commissione d’inchiesta del Parlamento regionale dell’Assia, ha ammesso contatti regolari con altri gruppi neonazisti, soprattutto in Turingia. Si è scoperto che anche il suo fratellastro frequentava lo stesso ambiente, facendo l’informatore sotto copertura (in tedesco V-Mann, Vertrauensmann). Nome in codice: Gemüse - Verdura.
Se doveste preparare le liste dei candidati per le prossime elezioni comunali, immagino che uno come Wenzel non lo prendereste in considerazione.
Ma voi non siete AfD.
Qualche giorno fa si è scoperto che Wenzel era stato inserito dalla AfD locale nelle liste per le comunali del 14 marzo. La notizia, riportata dai giornali, ha scatenato reazioni sdegnate e furibonde, e costretto AfD a prendere provvedimenti. I dirigenti locali hanno detto che non sapevano nulla dei suoi trascorsi, e hanno cancellato la sua iscrizione al partito. Che fossero tutti all’oscuro è un po’ difficile da credere: Wenzel non era uno sconosciuto, e come abbiamo visto il suo nome era spuntato fuori in diversi casi di cronaca nera. Lui stesso ha poi confermato che i dirigenti locali erano al corrente del suo passato quando gli hanno offerto di candidarsi, e non solo: gli avrebbero anche proposto di rientrare, una volta che si fossero calmate le acque.
Non c’è molto da stupirsi: non è la prima volta che emergono in maniera così netta i legami fra AfD e il mondo del neonazismo. A luglio l'Ufficio federale della Protezione della Costituzione (BvF) ha posto sotto speciale osservazione l’ala più radicale, la cosidetta Flügel, ed è quasi sicuro che nei prossimi giorni il provvedimento verrà esteso all’intero partito. Gli alternativi stanno cercando di scongiurare questa eventualità, ma episodi come quello di Wenzel certo non li aiutano.
Va anche sottolineato che AfD non ha fatto quasi nulla per evitare di essere associata all’estremismo neonazista, anzi ha coltivato certe tendenze presenti nella società tedesca, a est ma non solo, e gli ha offerto uno sfogo politico strutturato. È riuscita a sfruttare l’ondata di xenofobia scatenata dalla crisi dei rifugiati del 2015 e si è poi intrufolata in molti altri movimenti di protesta, come ad esempio quelli no-mask e anti-restrizioni, con l’obiettivo di mantenere sempre alta la tensione e diventare un punto di riferimento politico per l’opposizione radicale.
Nel farlo ha ottenuto un successo senza precedenti, mai neanche sognato da nessuno degli altri partiti dell’estrema destra tedesca. Un successo non solo numerico, quantificabile ad esempio nel numero di deputati, ma anche “culturale”. Si può ridere degli accorati appelli contro la “Corona-Diktatur” o “l’invasione degli immigrati” che mettono a rischio “l’identità tedesca”, ma il fatto che questi poi diventino temi di discussione sui giornali e in tv indica che un impatto sul discorso pubblico c’è stato. Uno studio pubblicato di recente dalla fondazione Bertelsmann ha rivelato che circa un terzo dei sostenitori di AfD mostra tendenze autoritarie legate all’estremismo di destra: fra gli elettori del partito intervistati, il 29% concorda con frasi come “dovremmo avere un capo che governi la Germania con mano salda per il bene di tutti”, o “la Repubblica Federale è gravemente minacciata dall’eccessiva presenza di stranieri”. Non che prima questi sentimenti non esistessero, fra i tedeschi, ma non erano così esposti. O meglio: chi li covava non si sentiva così legittimato a esporli.
Dall’altra parte dello spettro politico troviamo invece una storia di segno opposto, e decisamente più incoraggiante. Il protagonista si chiama Tareq Alaows, ha 31 anni ed è di origine siriana.
Alaows è uno dei rifugiati arrivati in Germania nel 2015. Allo scoppio della guerra civile in Siria aveva partecipato a numerose manifestazioni e aveva collaborato con la Mezzaluna Rossa per portare aiuto alle zone colpite dagli scontri, e per questo motivo era finito nel mirino del regime. Nel luglio del 2015 ha deciso di fuggire. Dopo due mesi passati lungo la terribile rotta balcanica, Alaows è riuscito ad arrivare a Bochum, in Nordreno-Vestfalia, dove ha cominciato la sua nuova vita. In pochi mesi ha imparato il tedesco e ha iniziato a lavorare come assistente sociale, fornendo consulenze legali ai rifugiati. Nel 2018 ha fondato l’associazione Seebrücke (“ponte marino”), che si batte per il salvataggio dei migranti in mare.
Ora, nell’anno delle elezioni, Alaows è pronto per un ulteriore passo: il 2 febbraio ha annunciato la sua candidatura per il Bundestag, nelle liste dei Grünen. Se venisse eletto, diventerebbe il primo rifugiato dalla Siria a entrare come deputato al Parlamento Federale.
Le storie di Christian Wenzel e di Tareq Alaows rappresentano i due estremi dello spazio politico e sociale della Germania di oggi, un Paese in cui l’immigrazione continua a essere al centro del dibattito politico. È infatti un tema sempre più complesso, su cui la Germania ha spesso dato risposte non all’altezza: e da settembre non si potrà più neanche contare sull’autorevolezza di chi, quasi sei anni fa, pronunciò quel famoso Wir schaffen das - “ce la facciamo”.
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Proprio a proposito di razzismo e integrazione, il primo pezzo suggerito di questa settimana è apparso qualche mese fa su Kater, ed è la traduzione italiana di un articolo scritto da Ursula Moffitt, ricercatrice alla Nordwestern University che ha lavorato a lungo anche all’Università di Potsdam, in Germania. Moffitt problematizza la nozione diffusa secondo cui la Germania sia riuscita a “fare i conti con il proprio passato”, e mette in guardia dal farne un modello efficace di antirazzismo.
Su Deutsche Welle un articolo per celebrare i 120 anni dalla nascita di Friedrich Ebert, socialdemocratico e primo Presidente della Repubblica di Weimar.
Infine, un consiglio su un’altra newsletter a tema tedesco e su un podcast sulle prossime Bundestagswahl. La newsletter si chiama Derrick ed è fatta da quattro giornalisti italiani: Uski Audino, Francesco De Felice, Lorenzo Monfregola e Alessandro Ricci. Il podcast invece si chiama Elezioni Bundestag 2021, e lo trovate su Spreaker.
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